Poca cura

Si dice ” se son rose fioriranno” ed è vero. Le rose del mio terrazzo lasciate ad “arrangiarsi” sono sbocciate.

Le curo poco ma non le trascuro del tutto, sembra che in qualche modo sentano che non mi occupo di loro come vorrei e perciò il breve tempo passato a spiluccare foglie secche, rametti inutili e schiacciare numerose colonie di pidocchi verdi è  un condensato di amore nei loro confronti e per le altre piante che convivono sul terrazzo.

Circa un mese fa sono riuscita ad organizzare una serie di lavori per sostituire alcune piante che sono decedute non per la neve e il gelo ma per il caldo improvviso.Così, da vera sprovveduta, non ho pensato ( chi lo avrebbe fatto, Signori, dopo che il termometro era sceso a  -15°) di avviare l’impianto d’irrigazione automatico e alcuni giorni di calore  africano hanno steso il glicine ( non quello di papà), alcuni rincospermi e anche una plumbago che ho estirpato nella foga di togliere l’inutile.

Le rose stavano lì, né belle né brutte, in attesa di essere ripulite e di avere ai loro piedi un po’ più di terra perchè, nei vasi, la terra si “siede” e consuma e devi sempre aggiungerne. Ho passato un po’ di tempo  con loro mentre si annunciavano le lavate di pioggia che stanno tormentando il cielo anche in questi giorni. Per non avere sorprese ho inserito l’impianto per innaffiare e le ho lasciate.

Ricordo che ero stata molto colpita anni fa quando, vicino ad Imperia, con alcuni amici mi ero intrufolata nel giardino di una vecchia villa disabitata e in stato di abbandono ed ero rimasta stupita di trovare cespugli di rose ormai inselvatichiti ma rigogliosi e in piena fioritura; forse con corolle non corrispondenti ai canoni richiesti ad un concorso o ad una esposizione ma sicuramente di una bellezza così naturale da far capire quanto la rosa che noi conosciamo, e che alcuni amano per la sua perfezione, sia il risultato di selezioni e di crescite che interferiscono con la spontaneità della natura.

Le mie rose comunque non crescono allo stato selvatico e spero che sappiano che ho una profonda ammirazione per la loro indipendenza, cerco di non essere eccessiva in nessun senso e di assecondarle. Da quel poco che vedo direi che abbiamo raggiunto una certa intesa.

P. S.  Di queste rose non conosco il nome perchè fanno parte di una eredità e non ho trovato informazioni negli appunti sul giardino di papà, cercherò di documentarmi…

La clematide è invece una Clematis montana ‘Mayleen’ messa in vaso nel 2008. Fiorisce accompagnandosi con il vecchio glicine e poi con la rosa, rosa.

Giallo soffione

Dà ad una persona una sorpresa improvvisa, l’andare giù da una strada arida  e acciottolata e vedere in una piccola striscia di erba, vicino al cancello di ferro il raggiante tarassaco, splendente come una goccia fatta cadere dal sole.

Henry Ward Beecher

Se un giardiniere avesse deciso di creare una bordura di fiori non avrebbe certamente pensato al dente di leone o tarassaco ma non sempre riusciamo a eguagliare la natura.

Questa piantina, molto comune  e considerata infestante, ben ancorata al terreno con una radice fusiforme è capace di crescere ovunque ci sia un centimetro di terra e  si può trovare perfino nelle fessure dell’asfalto cittadino. Le foglie disposte a rosetta sono lunghe, dentate e somigliano ai denti del leone; sono commestibili, all’inzio della primavera quando sono più tenere vengono raccolte e consumate in insalata.

I fiorellini giallo intenso sono riuniti in capolini che una volta sfioriti si trasformano in piumose sfere bianche e su cui, almeno una volta nella vita, ognuno di noi ha soffiato spargendo eterei ombrellini che, volteggiando nell’aria, trasportano minuscoli semini.

Questa comunissima pianta si fregia di svariati nomi: quello ufficiale e botanico è Taraxacum officinalis, viene chiamato dente di leone oppure in alcune zone insalata matta o cicoria matta. Ricordo che mia nonna lo chiamava girasul omettendo la precisazione dij pra cioè girasole dei prati; ho scoperto solo molto tempo dopo che la scritta sulle latte di olio di semi di girasole identificava “altri girasoli” e fiori ben diversi da quelli che vedevo nella campagna piemontese…

E’ conosciuto anche con il nome di soffione e personalmente è quello che preferisco perchè quando soffio sui piumini e cominciano a volare mi sento piccola e grande nello stesso tempo. La natura mi sta dando qualche possibilità.

Piccoli spazi

Guardo il mio minuscolo balcone e mentalmente faccio la conta dei davanzali delle  finestre. Quello che vedo è la mia cronica mancanza di spazio per poter sfogare la necessità di circondarmi di piante, ma i metri e a volte i centimetri sono quello che sono e devo rassegnarmi a non strafare. Se potessi il mio spazio verde sarebbe più simile ad un parco, diciamo un grande giardino, dove farei vivere le specie che amo di più, andrebbero bene anche le spontanee… insomma tutto pur di poter essere immersa nel verde.

Nonostante questa necessità sono però tendenzialmente un soggetto urbano e quindi cerco di mediare: abitare in città e circondarmi di piante in vaso. Oltre a sistemi tradizionali sono ricorsa a sotterfugi:  aumentare le dimensioni dei vasi in altezza, utilizzando delle orrende bordure per aiuole per aggiungere terra e usufruire di più capienza per piantare una Clematis Parisienne insieme ad un Solanum jasminoides.

Il risultato è stato soddisfacente perché le Campanule x Birch Hybrid  sono state bravissime a ricoprire il bordo della sopraelevazione. Siccome però il balcone non posso caricarlo troppo sfrutto le pareti, divisori e ringhiera agganciando vasi in cui le fragole e le plumbago convivono con le viole del pensiero.

So di non essere rigorosa negli abbinamenti botanici ma l’empirismo a volte aiuta.

In questi giorni ho deciso che devo assolutamente rinvasare il melograno e questo comporterà una serie di spostamenti di altre piante: il balcone diventerà come una specie di scacchiera dove, con il minor numero di mosse, dovrò fare “dama” e vincere un posto per ogni vaso. Questo gioco coinvolge anche i davanzali e alla fine sarò costretta a “mangiarmi” qualche pianta ma sicuramente riuscirò a trovare una soluzione…a costo di annettere il pianerottolo condominiale e a inserire altri vasi a parete.

P. S.   L’operazione “melograno” si è conclusa ma nel frattempo ho anche dato un po’ di spazio alla rosa Douceur Normande che, messa da parte in un vivaio perché sembrava avesse i giorni contati, da tre anni mi regala i suoi fiori.

Ellèbori o rose d’inverno

Una lettura legata alla mia infanzia mi ha fatto conoscere “la rosa che fiorisce d’inverno” e la curiosità di vedere questo fiore è stata inappagata fino a qualche anno fa. Ben prima ho scoperto che si trattava di una ranuncolacea chiamata Helleborus niger, l’ellèboro o rosa di Natale, ma non ne avevo mai vista una dal vero. Sarà che l’ incontro è avvenuto a Parigi al marché aux fleurs nella Place Louis Lépine, sarà l’atmosfera natalizia nel cuore dell’Ile de la Cité che mi ha stregata ma da quel momento ho desiderato di possederne una pianta.

L’ellèboro, in tempi passati, è stato usato per le sue presunte virtù medicamentose, capacità in realtà non proprio corrispondenti al vero se, anziché curare, portavano alla morte il poveretto/a a cui veniva somministrato il succo della pianta. Gli ellèbori sono quindi potenti veleni e si può fare a meno di usarli in farmacopea visto che noi  oggi possiamo ricorrere ai medici e alle farmacie.

Gli ellèbori sono comunque bei fiori che tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento hanno ornato i giardini d’inverno del Nord Europa e d’Italia; come molte piante sono poi cadute in disgrazia. In Inghilterra e in Germania vengono ancora coltivati nei giardini, non più come piante da interni e non in tutte le varietà che esistevano all’inizio del secolo. Da qualche anno sono tornate alla ribalta e si trovano in alcuni vivai o in alcuni negozi di fiori.

Quando ho acquistato le mie due piante (due perché non si sentissero sole) ho avuto cura di metterle in un luogo a cui il mio gatto non potesse arrivare: le ho sistemate sul balcone in vasi agganciati ad un graticcio e in ombra. Direi che si trovano bene e cercano di essere generose.

Il clima dell’autunno è stato un po’ troppo caldo e non hanno ancora prodotto boccioli, spero che abbassandosi la temperatura mi regalino la fioritura degli anni passati.

Helleborus niger maximus

Alcuni indirizzi     Il Giardino degli Ellebori

                                 Hertfordshire Hellebores

                                 Northwest Garden Nursery

Nonostante tutto

” Eh, certo avrete tanti insetti d’estate. Con tutto ‘sto  verde che si arrampica alle pareti ci saranno ragni, formiche e animali vari. E poi quando cadono le foglie… chissà quante foglie, si dovrà sempre spazzare. Ma non vi danno fastidio i rami sulle pareti? Che poi si rovinano i muri con tutte quelle ventose che non vengono via neanche se si tirano i rami con forza.” Ah dimenticavo… nell’enumerazione dei difetti della nostra parete verde c’é anche qualcuno che sostiene che tiene troppo fresco d’estate o che assorbe troppo sole. La responsabile é la nostra irriducibile Parthenocissus tricuspidata conosciuta anche come Vite del Canada o semplicemente Vite vergine che per gli abitanti del condominio é identificata come la Vite del Primo Cortile. Quando l’ho conosciuta si arrampicava all’incirca fino al primo piano ed era una esile pianta che d’estate creava un una zona di verde nella parte bassa delle pareti verticali del cortile. Con il passare degli anni la sua esuberanza l’ha portata ad un rigoglio che ha cominciato a creare motivo di disagio in alcuni condomini, addirittura arrivando a deciderne la sorte in sede di assemblea condominiale ed uscendone lei vittoriosa ed i condomini, strenui difensori della sua esistenza, estenuati dalla lunga discussione. Ci sono stati, con il passare degli anni, tentativi di contenerne la crescita dettati più da motivazioni estetiche che non dall’intenzione di dominarla. Qualche spuntatina qua e là, una potatura mirata e poi… anche i condomini più malevoli nei suoi confronti e amanti delle facciate nude possono decidere di trasferirsi.

Oramai la Vite ha una bella età e maturando migliora sfoggiando un abito autunnale veramente stupendo. Le foglie cadute vengono raccolte quando viene spazzato il cortile, quelle che cadranno con il vento dicembrino voleranno via e chissà dove andranno.

Intanto noi ci godiamo lo spettacolo delle foglie che cambiano colore. Nonostante tutto.

Palloncini sul balcone

 

Guardando fuori, oltre i vetri della mia finestra, ho notato che sul balcone di fronte, un piano più su, sporgevano dalla ringhiera dei fiori . Perlomeno a me sono sembrati dei bei fiori di colore arancione acceso perchè sono miope e in quel momento  senza gli occhiali, così ho inforcato la macchina fotografica perchè con l’obiettivo riesco a vedere un po’ più lontano: erano invece alchechengi.

Sono anche chiamati Chichingeri e il nome botanico è Physalis, appartengono alla famiglia delle solanacee come il pomodoro, la patata, il peperone e la melanzana; il fiore è del tutto insignificante e il carattere ornamentale di questa pianta è dato dalle brattee del calice che formano dei palloncini; al loro interno contengono un frutto simile ad una ciliegia gialla o arancio, lucida e carnosa. Alcune specie sono solo ornamentali come il Physalis alkekengi o il Ph. franchetii e i frutti non sono commestibili ma d’autunno si illuminano con i loro bellissimi palloncini. Altre specie, il Ph.pubescens e il peruviana,  in America o in Canada vengono coltivate nei giardini perchè i frutti sono commestibili e sono mangiati crudi o servono per la preparazione di conserve. Qui da noi si possono trovare dal fruttivendolo o al mercato, l’involucro a palloncino che contiene il frutto piegato all’indietro, oppure dal pasticcere con la bacca ricoperta di cioccolato.

Per conoscere un po’ di ricette      il Gatto Goloso

Zenzero & Cannella

Frutta · Kitty’ s Kitchen

La prima Plumbago

La Plumbago… è fiorita. Nonostante le gelate di gennaio e febbraio, che mi hanno fatto pensare al peggio,  una delle due, piantata in vaso sul balcone ha delle piene e ricche infiorescenze di corolle celeste intenso. Per chissà quale motivo, fino alla primavera dello scorso anno, non avevo mai preso la decisione di piantarne una, poi… l’illuminazione, dovuta anche alle insistenze della mia fornitrice di fiori e piante. Lo scorso anno la soddisfazione è stata grande e siccome mi piace sperimentare ho pensato che potevo tentare di far passare l’inverno alle Plumbago dove erano e senza preoccuparmi troppo di loro. Quando la temperatura ha comiciato a calare ho avuto i primi rimorsi e quando i primi tepori primaverili sono iniziati ho cercato di far prevalere quello che resta del  mio ottimismo naturale che, per altri versi, raggiunge ormai i minimi storici.

Sono stata accontentata: prima  è cresciuta una piantina, poi la seconda e adesso sono comparsi i fiori. Presa da entusiasmo sul terrazzo in campagna ne ho piantato una terza, questa già fiorita di suo e… prometto per il prossimo inverno le riparerò tutte e tre.

Per chi NON volesse seguire il mio esempio e seguire le regole

Rose e stereotopi

Maggio:  mese delle rose . Un modo di dire ormai radicato nel pensiero comune, ma è proprio così? Non è forse uno stereotipo, una  tendenza alla semplificazione e all’ organizzazione per frasi fatte del nostro bagaglio di idee?  Nei giardini, tempo permettendo, fioriscono  lillà, viburni, peonie, filadelfi che mostrano la grandezza della natura di maggio e tengono testa alle rose e l’appellativo di “regina” andava bene quando i giardinieri non disponevano di molto altro, ma adesso questa nobiltà può essere condivisa con migliaia di altri fiori. Lo stereotipo ci impedisce di mantenerci elastici, di accorgerci che ci stiamo adagiando sui giudizi frettolosi e non verificati, sulle conoscenze approssimative, sui modi di dire che ci liberano dall’impegno di scegliere criticamente.  Vita Sackville – West, pur adorando le rose, non le ha certo usate in modo stereotipato nel suo giardino di Sissinghurst, nè ha mai affermato che maggio fosse il mese della regina dei fiori perchè dalle sue parti , nel Kent, il periodo migliore della fioritura delle rose avviene tra giugno e fine luglio. Quindi si  può arrivare alla conclusione logica che quello che va bene per noi, girando l’angolo di casa nostra, può non avere valore.

Nella vita come in giardino o in terrazzo bisogna abbandonare gli stereotipi mettendo in atto un complesso meccanismo fatto di curiosità, di accettazione del diverso, di conoscenza della propria mente, di capacità a non adagiarsi agli schemi preconfezionati e tanto tanto altro…

I glicini del cavalcavia

Glicine era una ragazza di una bruttezza senza speranza. I ragazzi non la degnavano di un’occhiata e di sicuro nessuno la invitava a fare una passeggiata romantica. Un giorno la poverina, stanca e avvilita di questa sua condizione di eterna esclusa, era andata a camminare in un prato e piangendo disperatamente si era appoggiata ad un tronco, naturalmente secco,  ma le lacrime, anzichè scorrere fino a terra, si avviticchiarono intorno al tronco trasformandosi in grappoli di fiori violetti mentre il corpo di Glicine prendeva la forma di un fusto flessibile e le braccia diventavano rami che reggevano le infiorescenze. Questo racconta una leggenda e se ci fosse un fondo di verità sul cavalcavia di corso Bramante, a Torino, si sarebbero ritrovate decine di ragazze non particolarmente attraenti.

Infatti su entrambi i lati del corso, lungo i marciapiedi, corrono piante di glicine sistemate a distanza regolare tra loro, a formare uno scenografico  e profumatissimo pergolato. Desidererei tanto conoscere il motivo per cui sono stati piantati dei Wisteria sinensis, quando e a chi è venuta questa singolare idea perchè è abbastanza inconsueto trovare delle piante di glicine utilizzate come ornamento verde in una strada di pubblico passaggio.

Percorrere a piedi  questo tratto del cavalcavia è quanto di più inebriante si possa trovare in piena città e anche la vista è appagata dal colore dei fiori in questo periodo dell’anno.